La vulvodinia: cos'è e qual è il ruolo della fisioterapia?
Da diverso tempo ormai si sente parlare di una patologia che colpisce il sesso femminile. Se ne scrive nei settimanali e se ne discute all’interno delle rubriche di salute in televisione: è la vulvodinia.
Le donne che sperimentano la vulvodinia cominciano a raccontare il loro percorso solo dopo per aver trovato un professionista che le prenda sul serio e che abbia inquadrato la situazione.
La Vulvodinia e le disfunzioni sessuali
Le società scientifiche hanno cercato di trovare un accordo per la definizione di vulvodinia. Si parla quindi di vulvodinia come “dolore vulvare di una durata di almeno tre mesi, senza una causa chiaramente identificabile e che può avere potenziali fattori associati”.
È importante non confondere la vulvodinia con il dolore vulvare, un dolore riconducibile a cause specifiche come infezioni, infiammazioni, traumi, ecc.
Cause della vulvodinia
I potenziali fattori associati della vulvodinia, ovvero le possibili cause, sono di natura:
- genetica
- ormonale
- muscoloscheletrica
- neurologica
- psicosociale
- La vulvodinia può essere causata anche da prolassi.
La vulvodinia ha diverse caratteristiche in base alla localizzazione, all’insorgenza e al comportamento del sintomo nel tempo. Parliamo di un disturbo fortemente stressante, con importanti conseguenze a livello fisico, psico-sessuale, interpersonale e sociale.
Oltre ad essere un serio problema medico in sé, la vulvodinia può innescare un processo doloroso ad ampio raggio che coinvolge tutta la regione pelvica presentandosi come un vero e proprio segnale di allerta generalizzato: sintomi vescicali, dolore pelvico cronico.
Un’infiammazione della mucosa vaginale, dovuta a qualsiasi causa, determina la contrazione difensiva dei muscoli del pavimento pelvico, rendendo difficoltoso il rapporto sessuale con proliferazione delle fibre nervose del dolore.
Quando invece, su mucosa integra, il sintomo della paziente è il dolore al rapporto, la prima conseguenza è la contrazione difensiva dei muscoli del pavimento pelvico, con blocco della lubrificazione, proliferazione delle vie nervose del dolore, e vulvodinia associata.
Questa stretta correlazione potrebbe innescare anche una perdita del desiderio sessuale, disturbi dell’eccitazione mentale e genitale, disturbi dell’orgasmo fino ad un progressivo evitamento del rapporto sessuale.
Avere male in un’area “segreta” del corpo e la paura di parlarne per essere giudicata può innescare nella donna un senso di profonda solitudine e il pensiero di essere l’unica a soffrire di questo sintomo così imbarazzante e invalidante. Dal punto di vista interpersonale e sociale, ci possono essere importanti ripercussioni nella coppia, in famiglia e sul posto di lavoro.
Vulvodinia e dispareunia (dolore genitale nei rapporti provato immediatamente prima, durante o dopo il rapporto sessuale) sono strettamente correlate per motivi anatomici, funzionali, fisiopatologici, emotivi e relazionali.
Vulvodinia: sintomi
Non esiste purtroppo un processo diagnostico che permetta di effettuare una diagnosi reale e certa di vulvodinia.
Il colloquio iniziale con le pazienti è quindi fondamentale, sia per raccogliere tutte le sfumature che utilizzano per descrivere il loro sintomo, sia per instaurare un processo di fiducia, vista la natura molto intima del problema.
Il dolore vulvare viene spesso raccontato come bruciante, come un’irritazione, una puntura, una sensazione spiacevole e può essere provocato (nascere cioè in relazione ad uno stimolo) o spontaneo. Può avere un decorso temporale limitato al rapporto oppure durare anche oltre.
Per una maggiore chiarezza abbiamo raccolto una serie di testimonianze che descrivono il dolore provato.
Cosa dicono le donne
“Ho bruciore alla vagina per due-tre giorni dopo il rapporto sessuale. Prima era saltuario, ma adesso è presente ogni volta che facciamo l’amore e va sempre peggio.”
“Ho avuto le prime cistiti da quando ho iniziato ad avere i primi rapporti sessuali, inizialmente una volta al mese, adesso praticamente dopo ogni rapporto. È diventato un inferno. In più per la paura che mi è venuta non mi eccito più. Ho secchezza vaginale e adesso ho dolore anche durante il rapporto sessuale. Come se avessi dei taglietti all’entrata della vagina”
“No guardi, non sopporto la visita ginecologica. Appena mi tocca lì ho un dolore come se fossi scottata con un ferro bollente”
I sintomi riferiti possono essere la sovrapposizione di altre patologie uro-ginecologiche oppure l’eccesso di strategie negative, come l’utilizzo continuo di salvaslip o creme topiche potenzialmente irritanti.
L’intensità del dolore e la sua interferenza con le attività interpersonali sono quantificabili tramite delle scale di valutazione e dei questionari che la paziente compila in sede di colloquio clinico. Questi sono due strumenti fondamentali in quanto delineano il punto di partenza e il punto di arrivo del trattamento.
Vulvodinia e fisioterapia
Durante l’esame fisico vero e proprio si valuta la muscolatura del pavimento pelvico nella sua componente dolorosa e funzionale: forza, resistenza, alterazione di tono e ricerca di contratture.
Gli obiettivi della terapia sono:
- Ottimizzare il controllo del dolore, consapevoli che spesso parliamo di una gestione e non di una completa risoluzione.
- Ripristinare le funzioni colpite dal disturbo e migliorare lo stato di benessere fisico e psicologico.
- Migliorare la qualità di vita.
Il dolore causato dalla vulvodinia “arriva al cervello” sia dal punto di vista emotivo che neurofisiologico.
La fisioterapia, condotta da un esperto del settore, è una valida strategia per aiutare le donne che sperimentano la vulvodinia.
Sono stati stilati dalla comunità scientifica alcuni punti importanti nella cura della vulvodinia:
- Riduzione dei fattori scatenanti e degli stimoli irritativi.
- Trattamento delle disfunzioni del pavimento pelvico associate.
- Trattamento delle complicanze psicosessuali della sindrome dolorosa.
- Interruzione della percezione del dolore nell’area interessata.
La fisioterapia si focalizza, in questo preciso quadro, sulla funzione sessuale o più in generale su una precisa “disabilità” che la paziente vuole risolvere. Gli approcci sono diversi e cuciti addosso ad ogni singola donna.
La terapia manuale e l’esercizio terapeutico sono un validissimo aiuto. In questa maniera è possibile trattare la componente muscolare disfunzionale tramite tecniche miofasciali (muscolari) e di mobilizzazione articolare.
Questo genere di approccio permette anche di modulare il dolore. L’esercizio terapeutico ci aiuta ad esporre gradualmente la paziente all’attività considerata “dannosa”, abbattendo il muro della paura e “ricaricando” la funzione.
In conclusione
Vista la complessità del quadro descritto fino ad ora, non possiamo limitarci a parlare di fisioterapia: alcuni punti chiave alla base del percorso terapeutico hanno un limite professionale e di competenze. L’approccio consigliato è sempre multidisciplinare grazie all’integrazione di più figure professionali in grado di lavorare insieme per affrontare al meglio i vari aspetti di un disturbo così complesso.